Nella nuova collezione Uomo Autunno Inverno 2009 2010 di Gaetano Navarra, è come se si fossero mescolati tra loro i cromosomi di Heinrich Harrer – lo scalatore di “Sette anni in Tibet” – e di David Sylvian, l’androgino leader dei Japan. La sensazione di calore si coglie innanzitutto nella maglieria, sempre con le trame corpose ed evidenti della lavorazione ai ferri: trecce e coste larghe disposte in verticale in orizzontale, in obliquo, convergenti. Ma anche nei capi in velluto da rocciatore, anch’esso a coste larghe, dall’apparenza sciupata, con gli inserti in panno o feltro. La grinta graffiante anni ‘80/’90 si legge invece nella spigolosità delle costruzioni, nei tagli evidenziati, nelle spalle ben segnate, nel fit ridotto. Ad ogni elemento del guardaroba pare corrispondere uno specifico codice volumetrico: i capi spalla sono corti e ravvicinati al corpo, la maglieria è over, i pantaloni sono ampli sino al ginocchio – con pinces in quantità – e poi stretti sino alla caviglia che sfiorano appena. Ma c’è anche un accento più marcato del solito sulla sartorialità che genera completi calibrati alla perfezione.
Quasi must. Il “total knitwear”. Ci si veste di maglia dalla testa ai piedi: sopra, pull, cardigan, sweater, dolcevita con maniche troppo lunghe da indossare anche uno sopra l’altro, con tanto di sciarpa ben avvolta intorno al collo. Sotto, il pantalone un po’ gym un po’ underwear che va a finire dentro l’anfibio strong. Oppure il “new masculine”. Le fantasie più classiche si sommano nello stesso look, ma risultano tutt’altro che scontate: il piumino è in lana tartan o in tweed, la camicia e a quadri o a righe ma è super stropicciata, il pantalone Principe di Galles ha un’ampiezza esasperata e la chiusura a portafoglio.
Piccoli(-grandi) prodigi alchemici. I plissé fissati a caldo disegnano squame e/o scaglie da corazza, sulla giacca, sul cappotto, sul pantalone. Il velluto ha una gessatura “materica”: la superficie liscia e quasi shining è interrotta da righe sottili opache. La stropicciatura è quasi d’obbligo: persino il trench “color trench” è froissé. Non pesano nulla ma sono caldissimi il cappotto, il trench, il caban in tessuto accoppiato capitonné. Esattamente come i capi in montone nappato, in lana di cammello fluente e lucente, in lana bouclé, in angora “estratta”.
Usato apparente. I bottoni sono in metallo arrugginito o in corno d’antan. Le camicie sembrano sgualcite come se fossero state dimenticate decenni nel cassetto se non in valigia. Il jeans è “destroyed”: sfilacciato, sporcato di macchie di colore, ben più che vissuto.
Colori coerenti. Il cammello fa da filo conduttore e raccorda tra loro tonalità piuttosto profonde: nero, grigio, blu d’inverno, verde bottiglia, bordeaux stinto.
Passe partout insoliti. Il papillon c’è sempre o quasi. En pendant con la giacca perché fatto dello stesso tessuto e con la stessa disegnatura. Oppure ricamato in paillettes, o ondulato a ruches, o ancora in mohair. Il casco da palombaro in lana, ben strutturato dalle stecche in interno, sostituisce tanto il cappuccio quanto il passamontagna. Il collo delle camicie è camaleontico. Quando è doppio, uno dei due si può levare. Quando è singolo si toglie e si sostituisce con un altro diverso. Oppure è sostenuto dal fil di ferro e si può modellare a piacere.
Accessori ridefiniti. Le cinture sono ipersottili ed extralong, sempre percorse da borchie o rivettature. Si fanno girare più volte intorno alla vita, oppure si indossano in multiplex. Sotto la giacca tuxedo o lo spencer prendono il posto della fascia “cummerbund”. Le scarpe si allargano ai lati e terminano a punta, a ferro da stiro. Sono in pelle mordoré blu/azzurro, bronzo, argento. Hanno il puntale ed il battente posteriore sopra il tacco in metallo lucido.
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Fonte: Ufficio stampa Guitar